Che cosa è il colore? Vediamo tutti il colore allo stesso modo? Quante tonalità sono escluse dalla gamma cromatica percepita dall’occhio umano? Domande di questo tipo hanno interessatonumerosi pomeriggi della mia infanzia; mi smarrivo sognandomi come la scopritrice di un colore del tutto nuovo, mai visto prima, ma nonostante le ore spese e le energie investite la missione si è sempre rivelata fallimentare; l’eccezionalità della sfida rendeva infruttuoso anche solo il tentativo di immaginare un colore ex novo. A prescindere dall’esperienza, il colore è inimmaginabile.
Dal cuore dell’oceano Pacifico emerge una costellazione di seicento piccole isole, disseminate come perle su un drappo di raso blu. Tra i numerosi atolli che formano gli Stati Federali della Micronesia scopriamo Pingelap, un’isola ricca di vegetazione lussureggiante, priva di strade carrabili e di veicoli a motore. Pingelap è la nostra island of the colorblind. Il tre percento dei Pinglapesi è infatti affetto da acromatopsia, un raro disturbo genetico che nel resto del mondo colpisce una persona su trentamila. L’acromatopsia non solo pregiudica la possibilità di vedere a colori, ma è anche causa di ipersensibilità alla luce e di un grave condizionamento dell’acuità visiva.
Nel 1775 il passaggio del tifone Lengkiekie spazzò via il novanta percento della popolazione di Pingelap. Fu il ristrettissimo gruppo di sopravvissuti a inaugurare quel ciclo di riproduzione e di endogamia in cui si rintraccia la causa prima della diffusione del difetto genetico, localmente nominato maskun (non-vedere). Entro la prima metà del secolo successivo, l’acromatopsia avrebbe colpito più del cinque percento dei nativi dell’isola.
Affascinata dai tratti genetici rari, la fotografa belga Sanne De Wilde ha vissuto per un mese con i Pinglapesi e la loro comunità di colorblinds, dividendo il tempo tra Pingelap e Pohnpei (un atollo leggermente più grande che conta una grande comunità di Pingelapesi). Armata di una macchina fotografica convertita a infrarossi, De Wilde si è inoltrata in un viaggio sulla ricerca visiva, seguendo le tracce di Oliver Sacks e del suo omonimo lavoro The Island of the Colorblind (1997). Attraverso la lente di De Wilde, la ricca vegetazione di Pinglap si trasforma; le pesanti fronde delle palme si tingono di rosa, l’intera isola trasfigura in un paesaggio onirico.
Se il sogno può definirsi come un luogo interstiziale tra esperienza e immaginazione, anche la lettura di un paesaggio onirico non dovrebbe essere intesa come un’attività meramente immaginifica; il suo significato si costruisce accordando l’immaginazione al diapason dell’esperienza. Le immagini monocromatiche di Sanne De Wilde attingono alla nostra immaginazione come una novità esotica, ma preservano allo stesso tempo una certa qualità familiare che avvicina il soggetto all’osservatore piuttosto che distanziarlo. Osservando le immagini mi ritrovo a fluttuare lontana, senza però mai perdere la sensazione di trovarmi a casa; l’intimità che trasuda dai ritratti dei Pinglapesi mi àncora, permettendomi di osservare i soggetti con empatia e curiosità. Le fotografie monocromatiche sollevano domande significative riguardo all’importanza del colore nel modo in cui percepiamo il mondo circostante. Le immagini non vogliono esemplificare come i Pinglapesi vedano il proprio ambiente; piuttosto, mettono in discussione il modo in cui l’uomo si relaziona allo spazio anche attraverso la percezione del colore. Esplorando i limiti della nostra percezione ci avviciniamo ai soggetti, in un tentativo comune di comprendere reciprocamente l’inimmaginabile realtà dell’altro.
La comunità di Pinglap è stata tutt’altro che passiva durante il processo di sviluppo del progetto. Condividendo le loro idee sul colore, mettendo in discussione persino la volontà di poter osservare il mondo in policromo, gli abitanti di Pinglap aprono uno spiraglio che permette al nostro sguardo di catturare, seppur fuggevolmente, un frammento della loro esperienza con l’acromatopsia. Forniti di acquarelli, i colorblinds di Pingelap sono intervenuti direttamente sulla superficie fotografica delle stampe in bianco e nero per colorarne i dettagli a loro piacimento, creando risultati sorprendentemente simili ai colori originali del contenuto delle immagini. La partecipazione attiva della comunità di colorblinds ha permesso al progetto di assumere una profondità altrimenti difficile da ottenere; una sana collaborazione che contribuisce a rendere The Island of the Colorblind un progetto così riuscito.
Il dibattito riguardante le politiche di rappresentazione delle comunità sottorappresentate è in costante sviluppo nel campo della fotografia contemporanea. Non esiste una soluzione semplice al quesito della rappresentazione etica; servono grandi capacità di ascolto, di osservazione e perizia nel dar forma all’identità dei soggetti, definendo allo stesso tempo un linguaggio comprensibile per un pubblico eterogeneo. L’immaginario sognante di De Wilde crea efficacemente un accesso a una realtà celata. Ritraendo i suoi soggetti in armoniosa comunione con la vegetazione fertile dell’isola e nella penombra delle loro case, non c’è nulla nelle immagini che suggerisca una mancanza di controllo; i soggetti dominano i loro dintorni con grazia, lasciando l’impressione finale che le differenze tra una vita a colori e una in scala di grigi potrebbero non essere così profonde come sembrano.
Che cosa è il colore? Vediamo tutti il colore allo stesso modo? Quante tonalità sono escluse dalla gamma cromatica percepita dall’occhio umano? Domande di questo tipo hanno interessato numerosi pomeriggi della mia infanzia; mi smarrivo sognandomi come la scopritrice di un colore del tutto nuovo, mai visto prima, ma nonostante le ore spese e le energie investite la missione si è sempre rivelata fallimentare; l’eccezionalità della sfida rendeva infruttuoso anche solo il tentativo di immaginare un colore ex novo. A prescindere dall’esperienza, il colore è inimmaginabile.
Dal cuore dell’oceano Pacifico emerge una costellazione di seicento piccole isole, disseminate come perle su un drappo di raso blu. Tra i numerosi atolli che formano gli Stati Federali della Micronesia scopriamo Pingelap, un’isola ricca di vegetazione lussureggiante, priva di strade carrabili e di veicoli a motore. Pingelap è la nostra island of the colorblind. Il tre percento dei Pinglapesi è infatti affetto da acromatopsia, un raro disturbo genetico che nel resto del mondo colpisce una persona su trentamila. L’acromatopsia non solo pregiudica la possibilità di vedere a colori, ma è anche causa di ipersensibilità alla luce e di un grave condizionamento dell’acuità visiva.
Nel 1775 il passaggio del tifone Lengkiekie spazzò via il novanta percento della popolazione di Pingelap. Fu il ristrettissimo gruppo di sopravvissuti a inaugurare quel ciclo di riproduzione e di endogamia in cui si rintraccia la causa prima della diffusione del difetto genetico, localmente nominato maskun (non-vedere). Entro la prima metà del secolo successivo, l’acromatopsia avrebbe colpito più del cinque percento dei nativi dell’isola.
Affascinata dai tratti genetici rari, la fotografa belga Sanne De Wilde ha vissuto per un mese con i Pinglapesi e la loro comunità di colorblinds, dividendo il tempo tra Pingelap e Pohnpei (un atollo leggermente più grande che conta una grande comunità di Pingelapesi). Armata di una macchina fotografica convertita a infrarossi, De Wilde si è inoltrata in un viaggio sulla ricerca visiva, seguendo le tracce di Oliver Sacks e del suo omonimo lavoro The Island of the Colorblind (1997). Attraverso la lente di De Wilde, la ricca vegetazione di Pinglap si trasforma; le pesanti fronde delle palme si tingono di rosa, l’intera isola trasfigura in un paesaggio onirico.
Se il sogno può definirsi come un luogo interstiziale tra esperienza e immaginazione, anche la lettura di un paesaggio onirico non dovrebbe essere intesa come un’attività meramente immaginifica; il suo significato si costruisce accordando l’immaginazione al diapason dell’esperienza. Le immagini monocromatiche di Sanne De Wilde attingono alla nostra immaginazione come una novità esotica, ma preservano allo stesso tempo una certa qualità familiare che avvicina il soggetto all’osservatore piuttosto che distanziarlo. Osservando le immagini mi ritrovo a fluttuare lontana, senza però mai perdere la sensazione di trovarmi a casa; l’intimità che trasuda dai ritratti dei Pinglapesi mi àncora, permettendomi di osservare i soggetti con empatia e curiosità. Le fotografie monocromatiche sollevano domande significative riguardo all’importanza del colore nel modo in cui percepiamo il mondo circostante. Le immagini non vogliono esemplificare come i Pinglapesi vedano il proprio ambiente; piuttosto, mettono in discussione il modo in cui l’uomo si relaziona allo spazio anche attraverso la percezione del colore. Esplorando i limiti della nostra percezione ci avviciniamo ai soggetti, in un tentativo comune di comprendere reciprocamente l’inimmaginabile realtà dell’altro.
La comunità di Pinglap è stata tutt’altro che passiva durante il processo di sviluppo del progetto. Condividendo le loro idee sul colore, mettendo in discussione persino la volontà di poter osservare il mondo in policromo, gli abitanti di Pinglap aprono uno spiraglio che permette al nostro sguardo di catturare, seppur fuggevolmente, un frammento della loro esperienza con l’acromatopsia. Forniti di acquarelli, i colorblinds di Pingelap sono intervenuti direttamente sulla superficie fotografica delle stampe in bianco e nero per colorarne i dettagli a loro piacimento, creando risultati sorprendentemente simili ai colori originali del contenuto delle immagini. La partecipazione attiva della comunità di colorblinds ha permesso al progetto di assumere una profondità altrimenti difficile da ottenere; una sana collaborazione che contribuisce a rendere The Island of the Colorblind un progetto così riuscito.
Il dibattito riguardante le politiche di rappresentazione delle comunità sottorappresentate è in costante sviluppo nel campo della fotografia contemporanea. Non esiste una soluzione semplice al quesito della rappresentazione etica; servono grandi capacità di ascolto, di osservazione e perizia nel dar forma all’identità dei soggetti, definendo allo stesso tempo un linguaggio comprensibile per un pubblico eterogeneo. L’immaginario sognante di De Wilde crea efficacemente un accesso a una realtà celata. Ritraendo i suoi soggetti in armoniosa comunione con la vegetazione fertile dell’isola e nella penombra delle loro case, non c’è nulla nelle immagini che suggerisca una mancanza di controllo; i soggetti dominano i loro dintorni con grazia, lasciando l’impressione finale che le differenze tra una vita a colori e una in scala di grigi potrebbero non essere così profonde come sembrano.
Testo di Benedetta Casagrande
Traduzione di Leonardo Falascone
Visita il sito di Sanne De Wilde qui
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